25 marzo 2020 - 21:23

Ce la faremo se il cuore
sostiene nervi e cervello

Nelle organizzazioni internazionali, nelle istituzioni nazionali e locali, tra gli scienziati e nei media, troppi considerano irrilevante il momento, il tono e il modo in cui vengono comunicate le cose

di Beppe Severgnini

Illustrazione di Doriano Solinas
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L’arrivo di una brigata medica da Cuba sembra aver colpito gli italiani. La politica non c’entra. Ogni scintilla, quando c’è buio, fa luce. E la luce conforta. Non è superficiale: è umano. L’Italia ha bisogno di notizie buone e di buone notizie, di informazioni affidabili e incoraggiamento intelligente. Ormai dovremmo averlo capito: quella contro Covid-19 è una scalata. Per arrivare in vetta e poi scendere, occorre conservare il fiato.

Nelle ultime settimane abbiamo conosciuto prima il dubbio, poi la sorpresa, l’angoscia, perfino la leggera euforia di scoprire risorse insospettabili. Ci siamo scritti, rincuorati. Siamo usciti a cantare sui balconi. Abbiamo dimostrato commossa ammirazione per i nostri medici e sanitari, spesso mortificati in passato (e non protetti a sufficienza quando l’epidemia è iniziata). Adesso ci viene chiesto di più: tenuta mentale, resilienza, regolarità di comportamenti. Anche quando, al termine dell’isolamento domestico, dovremo condividere i nostri dati sanitari e la nostra geolocalizzazione. Solo così potremo riaprire e ripartire.

Possiamo farcela se il cuore sostiene i nervi e il cervello. Altrimenti, l’impresa è impossibile. Alcuni sembrano non rendersene conto. Troppi — nelle organizzazioni internazionali, nelle istituzioni nazionali e locali, tra gli scienziati, nei media — considerano irrilevante il momento, il tono e il modo in cui vengono comunicate le cose. Come se contasse solo la verità, quando non è così. Conta anche il modo in cui la verità viene presentata e recepita. Chi è demoralizzato non reagisce, si lascia andare.

Torniamo alla brigata medica cubana, già al lavoro a Crema. Pensate all’enorme simpatia che ha procurato a Repubblica di Cuba, tutt’altro che un Paese perfetto. Pensate poi a quanto l’Unione Europea sta per mettere in campo: ha sospeso il patto di stabilità, consentirà gli aiuti di Stato, ricorrerà probabilmente agli strumenti del Meccanismo europeo di stabilità (Mes); la Banca Centrale Europea ha pompato liquidità nel sistema, evitandone il tracollo. Si tratta di interventi storici, come hanno sottolineato Giavazzi e Alesina sul Corriere. Eppure, domandate in giro: Havana batte Bruxelles e Francoforte.

Non bastano nuovi finanziamenti, occorrono antichi incoraggiamenti. Pensate che sollievo sarebbe incontrare, davanti ai nostri ospedali pieni di dolore, qualche segno dell’Unione Europea. Un aiuto, una partecipazione, un simbolo, giovani medici con la bandiera blu sul camice. Niente: solo riunioni e comunicati.

Vale anche per le istituzioni nazionali. Stiamo affrontando una prova durissima, e le parole vanno scelte con cura (per esempio: il riferimento al 31 luglio come termine ultimo delle misure d’emergenza era destinato a generare equivoci). Ognuno di noi ha un giudizio sulle scelte del governo. Ma sette italiani su dieci, secondo YouTrend, sembrano apprezzare l’approccio di Giuseppe Conte. Approccio quasi paterno: lo abbiamo visto anche ieri in Parlamento. Il premier non urla, parla; non grida e non sgrida, incoraggia. Non era scontato: le grandi emergenze spesso generano tendenze autoritarie (sta accadendo in Ungheria e non solo). Il premier italiano non può essere tranquillo, ma deve sembrarlo. Non è una recita: è il ruolo di un capo.

Anche la comunicazione regionale e locale deve ricordare che, in giornate come queste, l’empatia diventa una questione di sostanza, non di forma. Quasi tutti i sindaci si stanno mostrando all’altezza della situazione; molti hanno sorpreso (forse anche se stessi). In Lombardia apprezziamo il tono con cui l’assessore al welfare Giulio Gallera — diventato ormai un volto nazionale — riporta ogni giorno ciò che accade: numeri, storie, notizie, previsioni. Talvolta il suo ottimismo appare eccessivo, e il suo sorriso un po’ forzato, ma non dispiace: meglio un sorriso forzato che uno spontaneo disfattismo.

L’importanza dell’incoraggiamento andrebbe spiegato anche a virologi e infettivologi. Far nomi sarebbe ingeneroso: tutti, sono certo, cercano di spiegarsi ed essere d’aiuto. In fondo ci avevano messo in guardia, e non li abbiamo ascoltati. Ma alcuni di loro sono portatori d’ansia: mai un sorriso, mai una parola di conforto per una nazione che, comunque, sta provando a venirne fuori. Altri, senza nascondere la realtà, riescono a sorridere, trovare qualche spiraglio, esprimere un plauso per lo sforzo collettivo. Chi è più d’aiuto, tra questi e quelli?

Per finire, i media. Ma qui tocca a voi giudicare noi. Le rassicurazioni superficiali sono irritanti e inutili, lo sappiamo. Ma le profezie spaventose sono deleterie. Una nazione depressa non completerà mai la scalata; una nazione motivata, invece, arriverà in cima, e potrà guardarsi alle spalle con orgoglio.

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